Condividiamo con voi un articolo del nostro Partner Carlo Battistini che riflette sul come la storia non si ripete, ma a volte nemmeno insegna. 

L’ECONOMIA E LA POLITICA OGGI E 100 ANNI FA

Keynes partecipò nel 1919 alla conferenza di pace di Parigi dopo la Prima guerra mondiale e, al termine, deluso, scrisse “Le conseguenze economiche della pace”, in cui evidenziò che imporre insostenibili riparazioni di guerra e imporre condizioni umilianti alla Germania, avrebbe portato alla fame il popolo tedesco. Anche i vincitori europei, Regno Unito, Francia e Italia, sia per i debiti contratti per lo sforzo bellico sia per le risorse necessarie a riconvertire i sistemi produttivi da una economia di guerra ad una di pace, si trovavano in condizioni insostenibili. I debiti di guerra pretesi erano talmente esorbitanti che avrebbero inevitabilmente incoraggiato nei tedeschi il risentimento e la demagogia verso gli oppressori stranieri e negli altri europei la frustrazione per una sofferta vittoria senza vantaggi tangibili. Così, le condizioni finanziarie dell’Europa avrebbero condotto inevitabilmente verso un decennio di crisi economica e di sofferenze per le popolazioni, poi anche l’America fu colpita dalla terribile crisi del ’29 e l’intero occidente nel XX secolo conobbe la miseria.

La conseguenza di ciò fu la messa in crisi della democrazia in Europa nei due decenni successivi di recessione economica, di profonda diseguaglianza sociale e di inflazione devastante: i leaders politici europei non avevano saputo guardare oltre gli immediati interessi nazionali di parte, privi di un senso del comune destino. La diseguaglianza, l’austerità dei bilanci, l’incertezza, l’iperinflazione generarono l’odio, la rabbia e il populismo cavalcati da fascismo e nazismo, e portarono alla Seconda guerra mondiale.

La proposta di Keynes nel 1919, non presa in considerazione, suggeriva di non umiliare la Germania, di finanziare la ripresa dell’economia europea e di allentare il debito pubblico, esattamente l’opposto dell’ideologia del rigore punitivo e dell’austerità finanziaria che invece furono attuate.

Dopo 100 anni, se ripercorriamo i fatti dalla crisi mondiale del 2008 e come è stata affrontata dai Governi e dalle istituzioni finanziarie, possiamo ben capire che la storia non si ripete, ma a volte nemmeno insegna. Poi la crisi del debito sovrano nell’Eurozona del 2011 è stata anch’essa affrontata con l’austerità propria dell’ideologia neoliberista e con il rigore punitivo che hanno causato profonde sofferenze per molte popolazioni, mentre la globalizzazione senza regole a vantaggio di pochi ricchi, generava pulsioni xenofobe e movimenti populisti in tutti i paesi occidentali. Così nel 2016 sono arrivati a giugno la Brexit e a novembre l’elezione di Trump.

La psicologia umana è istintiva e spesso è purtroppo poco razionale e rimane abbinata alla fede diffusa in questo caso nell’ideologia neoliberista, a priori convinta dell’autoregolamentazione dei mercati. Nei paesi occidentali questa fede irragionevole continua ad alimentare squilibri e diseguaglianze, erodendo la credibilità della democrazia e illudendo le popolazioni di ricevere maggiori protezioni dalle autocrazie e dalla demagogia estremista.

L’unica eccezione, è stata la risposta alla pandemia del 2020-2021 e alla conseguente rottura delle catene mondiali di approvvigionamento. I governi e le istituzioni finanziarie occidentali hanno attuato allentamenti di bilancio e politiche espansive per reagire alla crisi, come in una economia di guerra, con l’helicopter money delle banche centrali, poi con il piano IRA del Presidente Biden negli USA e il piano Next Generation EU in Europa. La razionalità senza l’ideologia porterebbe al controllo delle politiche di bilancio pur senza austerità; vi sono, invece, dei politici che propongono ancora tagli di tasse a chi guadagna di più raccontando che così si può miracolosamente ottenere maggiore benessere per tutti, a scapito dei necessari investimenti sui beni comuni.

Inoltre ci sono stati anche i clamorosi errori dei banchieri centrali nel 2022 sulla gestione delle politiche monetarie: il mantenimento di tassi troppo bassi (anche negativi) in presenza di una forte ripresa post pandemia e le errate previsioni sull’inflazione seguente.

Il mondo ha raggiunto livelli di crescita economica mai visti, ma le leadership politiche sono rimaste tragicamente ancorate a quelle ideologie liberiste e rigoriste che non hanno mai funzionato: anzichè distribuire equamente la produzione ed eliminare la diseguaglianza ognuno ha pensato solo ad accaparrare il massimo vantaggio immediato possibile, magari a beneficio di pochi. Oggi il PIL mondiale è all’incirca pari a 105.000 miliardi1 di dollari (105 trilioni) e la popolazione mondiale è pari a circa 8 miliardi di persone: quindi l’economia globale produce 13.125 dollari a persona, cioè 52.500 dollari per ogni famiglia di 4 persone. Non esiste un problema di carenza di produzione, ma di distribuzione, a cui si aggiunge la tragica incapacità di affrontare in modo comune il cambiamento climatico.

Contemporaneamente il debito globale, pubblico e privato, ha raggiunto una dimensione di circa 313 trilioni2 (313.000 miliardi) di dollari, circa tre volte il PIL: pare che il rigore e l’austerità siano affermati solo quando riguardano i popoli e non quando si tratta di Wall Street o di Hong Kong.

Nella storia economica vi sono sempre stati squilibri e improvvisi cambiamenti di direzione, non c’è mai stata una marcia lineare verso il progresso, ma mai come oggi vi sono risorse, strumenti e capacità di affrontarli. Nello stesso tempo, in questo XXI secolo, stanno emergendo blocchi di paesi contraddistinti da valori comuni in cui la dipendenza reciproca nei mercati, nella finanza e negli approvvigionamenti non metta a repentaglio il regime politico vigente, segnatamente le democrazie e le autarchie.

L’obiettivo principale per l’Europa è di garantire ai propri cittadini la sicurezza economica e la protezione dalle aggressioni. Ciò richiede un duplice investimento consistente che riguarda da un lato le catene di approvvigionamento di materiali e la decarbonizzazione sul lato economico, dall’altro la maggiore spesa militare sul lato politico. È quindi ipotizzabile una convivenza con livelli alti di indebitamento e possibili ripetuti nuovi shock e nuove fiammate inflattive, quindi è indispensabile selezionare la spesa pubblica buona da quella cattiva.

Nell’anno delle elezioni europee, infine, le attuali leaderships politiche dovrebbero produrre uno scatto in avanti sul completamento del mercato dei capitali e dell’Unione bancaria, che garantisce la stabilità finanziaria, così come sull’incremento di programmi di investimenti pubblici comuni, che garantiscono la stabilità delle forniture di materiali ed energia e la produttività. Infine occorre un rapido cambio di passo per la creazione della difesa comune europea, unica possibilità per garantire la sicurezza della nostra democrazia e dei nostri valori.

Carlo Battistini


1 Visual Capitalist 2023 secondo stime del FMI.

2 Institute of international Finance 2023

14.02.2024

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